Ma il pericolo esiste. E non è neppure dei più irrilevanti. Quello, cioè, di fare di Dio una specie di superlativo assoluto di tutte le connotazioni positive che si riscontrano nelle creature.
Un fiore è bello? Dio è bellissimo. Un uomo è buono? Dio è ottimo. Un maestro è saggio? Una madre ama appassionatamente il frutto del suo grembo? Dio supera e il maestro e la madre: egli è, per dirla con Dante, «la somma sapienza e primo amore».
Con questo procedimento rischioso, anche se gli facciamo occupare la prima posizione nelle graduatorie dei valori universali, non rendiamo a Dio un buon servizio. Perché tutto sommato, lo confiniamo all'interno del nostro mondo. Lo circoscriviamo nei nostri moduli. Mentre gli si offre, quasi per buona educazione, la piazza d'onore, in ultima analisi lo riduciamo ai nostri schemi. Lo si riconosce come testa di serie di tutte le classifiche della terrena bontà, ma poi gli si impedisce di sfondare il tetto e di entrare, per così dire, in un altro girone. E chi sa che, sotto questa assolutizzazione «controllata», non si nasconda il desiderio, se non proprio di insidiargli il primo posto, almeno di imporgli un certo rispetto!
Sì, il pericolo esiste. Perché così riduciamo Dio a semplice fenomeno intramondano, perfetto quanto si vuole, ma spogliato di ciò che gli appartiene come tipicamente suo: la trascendenza.
Trascendenza è una parola un po' difficile, ma vuol significare che Dio è “totalmente altro” dalle nostre povere, sia pur nobili, cose di quaggiù…
Viene in mente la battuta di quel missionario il quale mentre parlava ai negretti seduti sotto un albero della foresta, essendogli capitato di usare nel discorso la parola computer, si sentì chiedere da un bambino che cosa fosse i computer. E lui, imbarazzato, gli rispose mostrandogli la matita che aveva in mano: «Te lo spiego subito: vedi questa matita? Il computer è tutta un'altra cosa! ».
Appunto, Dio è tutta un'altra cosa.
Non possiamo rivestirlo sul modello dei nostri abiti, si pure di stoffa pregiata, dandogli magari la taglia più alta.
Non è comprimibile sotto l'arco del nostro cielo. Dobbiamo ripeterlo chiaro: «Sopra i cieli s'innalza la sua magnificenza».
Solo così saremo afferrati dalla imprevedibilità di Dio. Solo così capiremo le sue inedite trovate. Solo così ci sedurranno le sue sorprese, e ci accorgeremo che sono veramente inesauribili le risorse della sua novità.
Diversamente, correremo il rischio di proiettare in Dio le nostre mediocrità. La sua eccellenza la scambieremo per strapotere. Lo renderemo complice di ogni progetto mal riuscito. E perfino l'effetto speranza, su cui poggia tutto l'annuncio cristiano, si ridurrebbe alla semplice amplificazione delle nostre attese che, per quanto dilatate, finirebbero col deluderci.
«Sopra i cieli s'innalza la tua magnificenza». Sopra i cieli. Non sotto. Un Dio che sta sotto i cieli, anche se tanto alto da toccarli con un dito, è un Dio lontanissimo: forse anche un po' responsabile delle nostre frustrazioni e dei nostri insuccessi. È un Dio rivale, insomma, quasi un antagonista con cui misurarsi. E’ un primo della classe col quale fare i conti, rimediando inesorabilmente complessi di inferiorità e amarissime sensazioni di colpa.
Un Dio, invece, la cui magnificenza s'innalza sopra i cieli ci è molto più vicino. Perché scombina le nostre misure, ma senza indispettirci. Perché gioca con noi, ma senza divertirsi a nostre spese. Perché provoca desideri struggenti della patria lontana, ma senza crearci tristezze. Perché è sempre in agguato, ma senza irridere alla nostra libertà. Perché ci tende mille trappole di tenerezza, ma non si stanca dei nostri rifiuti. Perché ci tiene alle risposte d'amore, ma è sempre pronto a perdonare il nostro peccato.
Solo un Dio che sta sopra i cieli può diventarci coinquilino. Perché solo lui sa scavare negli abissi delle nostre nostalgie, e ci fa capire che «egli ci ha fatti per lui, e che il nostro cuore è inquieto finché non riposa in lui».
«Sopra i cieli s'innalza la sua magnificenza».
Sotto i cieli s'incurva solo la nostra povertà. Ma s'incurva a tal punto, da diventare il ricettacolo della sua misericordia.
Fonte: "Dire Dio oggi. Dallo stupore alla trascendenza"
Scrigni, collana diretta da don Ciccio Savino, Ed. Insieme, pagg. 13,14,15